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miércoles, 20 de noviembre de 2013

Il fuggiasco - Andrea Manni (2002)


TITULO ORIGINAL Il fuggiasco
AÑO 2003
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Italiano (Separados)
DURACION 97 min.
DIRECCION Andrea Manni
GUION Andrea Manni, Massimo Carlotto, dal romanzo omonimo di Massimo Carlotto (Edizioni E/O)
REPARTO Daniele Liotti, Joaquim de Almeida, Claudia Coli, Alessandro Benvenuti, Francesca De Sapio, Roberto Citran, Gabrielle Lazure, Fiorenza Tessari, Luisa Ranieri, Marco Giallini, Paolo Giovannucci, Antonella Troise, Benjamin Islas, Mario Montes Pozo, Aska Iida.
FOTOGRAFIA Massimino Pau
ESCENOGRAFIA Stefano Giambanco
VESTUARIO Chiara Ferrantini
MUSICA Teho Teardo
MONTAJE Alberto Lardani
PRODUCCION Massimiliano La Pegna, Pietro Lama, Feelmax, Rai Cinema
GENERO Drama 

SINOPSIS Nel 1976, quando aveva solo 19 anni, Massimo Carlotto viene accusato di un omicidio di cui è l’unico testimone. A causa di tale accusa subisce 11 processi, trascorre 6 anni in prigione e 5 da "Fuggiasco". La sua odissea legale dura 18 anni, termina nel 1993 quando il Presidente della Repubblica gli concede la grazia. (Film Scoop)

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Subtítulos (Italiano)

Brutto giorno il 20 gennaio 1976 se hai diciotto anni, vivi a Padova, sei uno studente militante di Lotta Continua e ti chiami Massimo Carlotto. Il destino sta per riservarti una sorpresa crudele: soccorrerai la vittima di un delitto e da quel momento in avanti tutti i tuoi sogni si trasformeranno in un incubo pieno di bastonate, abbandoni e sinistri inceppamenti della macchina giudiziaria che dovrebbe riconoscerti innocente. Fermato. Arrestato. Imputato di omicidio. Come si dice: trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Da testimone a soggetto sotto accusa il passo è breve, se a qualcuno serve un capro espiatorio. Molti anni e molte fughe più tardi, nel tuo primo libro scriverai: "Ho un passato ingombrante. Per metterlo da parte e pensare finalmente al futuro ho dovuto usare cinque grandi casse di legno."
Queste stesse parole aprono il bellissimo film che Andrea Manni ha tratto da una vicenda assurda e terribilmente vera conclusasi il 7 aprile 1993 con un provvedimento di grazia firmato da Oscar Luigi Scalfaro dopo 11 processi, sei anni Daniele Liotti è Massimo Carlotto ne "Il Fuggiasco" di Andrea Mannidi carcere e cinque di latitanza. Un progetto rincorso dal 1995 tra lo scetticismo dei produttori e che oggi, sia pur con una distribuzione inadeguata (un primo ‘test’ in poche sale a Roma e Padova, poi altre 30 copie in giro per l’Italia), arriva al pubblico vantando una solida sceneggiatura scritta a quattro mani con Carlotto, un cast artistico e tecnico credibile (su tutti, Daniele Liotti, Joaquim De Almeida, Roberto Citran, il direttore della fotografia Massimo Pau) ed un ritmo tutto in crescendo, da nervi scoperti e attese febbricitanti messo in risalto dalla colonna sonora di Teho Teardo (sue anche le musiche del prossimo film di Guido Chiesa).
Il Fuggiasco è un thriller in cui l’assassino non viene scoperto e un innocente si ritrova a vagare, "latitante per caso", costretto ad occultare la sua vera identità tra Parigi, Barcellona e Città del Messico, aiutato da un gruppo di esuli politici guidati da Lolo, cileno fuggito da Santiago dopo il golpe del 1973 che nei suoi ultimi anni di vita sarà tra i fondatori del Comité International Justice pour Massimo Carlotto. La solidarietà degli ultimi della terra, l’amicizia di altri perseguitati e l’amore della famiglia, di chi a Padova continua a lottare in nome di una giustizia che non c’è ("Lascia perdere il caso" è il consiglio di un giudice chiamato al telefono da Alessandro Benvenuti nei panni dell’avvocato Vignoni) sono gli unici punti fermi quando i passi del protagonista vacillano e la speranza di tornare a casa libero si fa sempre più flebile.
Sono frammenti di luoghi e fatti quelli che vediamo sullo schermo, un circolare di volti, corpi, Daniele Liotti è Massimo Carlotto ne "Il Fuggiasco" di Andrea Mannipaesaggi: "Parigi è una prigione a cielo aperto", come dice Lolo e il tempo che scorre è scandito dai verdetti di condanna, dai ricorsi della difesa, dalle sigarette bruciate notte e giorno in un susseguirsi di lacrime, travestimenti e scatti disperati. Il sogno di una cosa negata. La malattia, l’idea di farla finita come estremo gesto escapista: "Io in carcere non ci torno". Puntando sulla tensione, viene meno l’ironia amara che attraversa il romanzo, ma è un tradimento necessario per non confondere il caso Carlotto ed il film di Manni con una biopic tra dramma e commedia sulla falsariga di Prova a prendermi. L’immagine più forte ed emblematica: sulla spiaggia deserta, Daniele Liotti alza le braccia al cielo urlando: "Io sono Massimo Carlotto".
Nino G. D’Attis

INTERVISTA  AD ANDREA MANNI di Nino G. D’Attis

Andrea ManniAndrea Manni nasce a Roma il 4 gennaio 1958.
Nel 1989 scrive e dirige il cortometraggio Dubbing in Italian Style, (menzione speciale al Torino Film Festival).  Nel 1996 scrive e dirige il suo primo lungometraggio Da cosa nasce cosa… (Miglior Opera Prima al 50° Festival del Cinema di Salerno - 1997). Nel 1998 scrive e dirige il cortometraggio Un uomo a piedi (in concorso alla 55° Mostra del Cinema di Venezia). Il Fuggiasco è il suo secondo lungometraggio di cui è anche autore della sceneggiatura assieme a Massimo Carlotto.

Tra il tuo primo cortometraggio (Dubbing in italian style, del 1989) e Da cosa nasce cosa... (1997) sono passati sette anni; cinque tra Un uomo a piedi (1998) e Il Fuggiasco. Sei tu a prendere tempo tra un film e l'altro o ti sei ritrovato nella condizione di dover aspettare a lungo il verdetto dei produttori su un determinato progetto?
La seconda... Fare films in Italia è difficile. Fare films che valgano la pena di esser fatti, è ancora peggio, tanto più se non sei un regista affermato o particolarmente amico di qualcuno. Fare la commedia è più semplice ma purtroppo non ho trovato nessun progetto che mi abbia appassionato e le commedie che ho scritto non sono state ritenute, ancora...giuste per il mercato. I produttori ma ancora di più le televisioni con l'acquisto dei diritti televisivi, decidono se un progetto debba o non debba esser prodotto.

Puoi dirmi qualcosa del tuo lavoro sul set? Usi uno storyboard, o almeno ne hai usato uno per Il Fuggiasco?
L'unica cosa che non amo di questo lavoro è che cominciamo a lavorare molto molto presto al mattino ed io la mattina presto non sono proprio al cento per cento... Per far capire ai miei collaboratori come voglio procedere, faccio degli schizzi delle inquadrature ma chiamarlo uno story-board mi pare francamente eccessivo, disegno piuttosto maluccio.
Sul set mi sento a mio agio. Ci deambulo da più di 20 anni. Mi diverto a scherzare con i miei collaboratori, giochiamo spesso e questo rende più piacevole il lavoro. Non  sono un dispotico urlatore e lavoro a stretto contatto con tutti, forse perché avendo fatto l'aiuto regista per tanti anni non riesco a smettere di controllare tutto, in tutti i reparti. Mi piace che tutti collaborino, il film non lo sento solo mio. I film non si fanno da soli, è un gioco di squadra ed ho avuto una troupe meravigliosa.

Avevi già in mente Daniele Liotti come protagonista mentre scrivevi la sceneggiatura insieme a Carlotto?
No. Eravamo già abbastanza schizofrenici, cercando di avere un sano distacco dal fatto che quello che scrivevamo era vero. In più per me era ancora più bizzarro, perché il mio interlocutore (Massimo Carlotto) era proprio quello vero. Pensare anche a chi lo avrebbe interpretato sarebbe stato impossibile. Un problema per volta. E ti assicuro che non è stato facile emotivamente... Della scelta di Daniele Liotti sono orgoglioso. È stata una sfida nella sfida ma secondo me Daniele è una delle sorprese (positive) del film.

Sempre a proposito di attori, come è stato trovarsi sul set Joaquim De Almeida e Francesca De Sapio? Nei loro curriculum si leggono i nomi di Peter Sellars, Jim Mc Bride, Dennis Hopper...
Lavorare con dei professionisti di talento è sempre bello e stimolante. C'è un primo momento di diffidenza, ci si annusa ma se poi c'è complicità, è davvero un piacere. Basta una parola, uno sguardo e ci capisce subito. Non scorderei però anche tutti gli altri, Benvenuti, Citran, Giallini, Coli, Tessari, Ranieri, Giovannucci e lo stesso Liotti. Io non amo gli attori, però amo quelli bravi...

Quanto intervieni sul lavoro del direttore della fotografia? Di Massimino Pau mi colpì molto la luce per Il Branco di Marco Risi, ora le scelte fatte per Il Fuggiasco mi sembrano altrettanto belle. Ho sempre pensato che chi si occupa di illuminare un set possa trovare molti più stimoli se la storia è drammatica o thriller. Sei d'accordo?
Massimo Pau è un grande. Da lui ho ricevuto un grande ed affettuoso supporto. Ci conosciamo da 20 anni, poi ci siamo persi di vista per 7/8 anni e rincontrarsi è stato bello. Il lavoro del direttore della fotografia nelle commedie è relativo, meno creativo. Solitamente la commedia deve avere immagini molto luminose, brillanti, allegre e vivaci. Nei films "drammatici" o in tutto ciò che non sia commedia, il lavoro è più interessante, anche al limite della sperimentazione. Un po' gli ho rotto le scatole ma Massimo aveva capito esattamente il film ed abbiamo marciato nelle stessa direzione. Tranne che in Messico, la fotografia è fredda e contrastata, propedeutica alla vicenda. Spero di lavorare di nuovo presto con Massimo.

Che tipo di rapporto hai invece con i montatori? Ti capita di visionare un primo montaggio e di cambiarlo molto?
Per come giro, è abbastanza semplice seguire le indicazioni che arrivano al montaggio ma questo film ha avuto una lunga gestazione per quanto riguarda l'edizione. Alla fine avevamo tanto materiale, tanto da poter montare un film di più di 2 ore ma non era quello che volevamo. È stato tagliato molto e tagliando delle scene, dei personaggi perdevano d'importanza e quindi diventava fisiologico tagliare anche loro. Delle scene non sono venute come speravo ed allora via anche quelle... Insomma ora i film dura 93' senza titoli di coda. Un grazie va anche ad Alberto Lardani, il mio montatore, che mi aiutato e sopportato per circa 8 mesi. Devo dire che anch'io ho sopportato lui...meno male che siamo molto amici.

Come sei arrivato alla scelta di Teho Teardo per la musica del film? Conoscevi il suo lavoro con artisti internazionali come Mick Harris, Lydia Lunch e Jim Coleman?
L'incontro con Teho è stato fortuito e fortunato. No, non lo conoscevo. Mi è stato presentato dal suo agente. In quel periodo stavo ascoltando il lavoro di molti musicisti ma quando ho sentito il lavoro di Teho non ho avuto dubbi. La musica è una mia grande passione e mi picco di saperne parecchio, molto più che di cinema... Gli auguro tutto il successo che merita.

Durante la conferenza stampa si è accennato alla possibilità di portare sul grande schermo un altro romanzo di Massimo Carlotto, Il Mistero di Mangiabarche. Sarà il tuo prossimo progetto?
Spero e credo di sì. Magari non tra 4/5 anni...

Grazie.
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Padova, gennaio 1976. Il diciottenne Massimo Carlotto viene accusato dell'omicidio di un'amica. Dopo tre anni di detenzione e vari gradi di giudizio la Cassazione lo condanna a diciotto anni di reclusione. Massimo, che è innocente, non ci sta e fugge a Parigi.
Lì inizia la sua vita da "fuggiasco". Una vita difficile da sopportare. Una vita che impone cambiamenti continui e repentini per non farsi scoprire dalle autorità. Deve stare attento a non commettere errori. Deve evitare i controlli della polizia. E cambiare nome, aspetto, casa. La sua è una latitanza disorganizzata ed improvvisa che lo porta ad incontrare esuli e rifugiati politici, che con la loro solidarietà e il loro appoggio lo aiutano ad andare avanti. Massimo si trasferisce a Città del Messico ma si lega alle persone sbagliate e nel 1985 viene arrestato, torturato ed espulso. Tornato in Italia decide di costituirsi ma scopre che in realtà nessuno lo sta cercando. Il mandato di cattura viene trovato solo dopo giorni di ricerche. Massimo viene comunque rimesso in carcere ma si ammala gravemente. Nasce così "il caso Carlotto ", che tra vari gradi di giudizio e conferma della condanna definitiva, si concluderà solo nel 1993, ben diciassette anni dopo, quando il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, concederà la grazia.
Il film, che ha ottenuto il sostegno del Dipartimento dello spettacolo del Ministero per i beni culturali e il fondo europeo Media per lo sviluppo (ben quattro milioni di euro in totale!) ed è coprodotto da Filmax e Rai Cinema, è stato scritto a quattro mani dal regista e dal vero Massimo Carlotto, divenuto ormai un navigato scrittore dopo la sua terribile esperienza (si vocifera che un altro suo romanzo, "Il mistero del mangiabarche", diventerà presto un film e sempre per la regia di Manni!).
A detta del regista "Il fuggiasco" è una di quelle storie che hanno il diritto di essere raccontate. Ma più che un film carcerario o di condanna del sistema giudiziario, "Il fuggiasco" è un film sull'individuo, sul suo dramma personale, sulla sua lotta contro l'ingiustizia, sul suo viaggio iniziatico alla scoperta di sé e della vera libertà. Ed il tocco di Manni è lucido, distaccato, senza sentimentalismi, quasi rigoroso, sposta il baricentro dell'attenzione sulla latitanza "interiore" del suo sfortunato eroe piuttosto che sulle vicende giudiziarie in cui si trova coinvolto. Non tutto, però, funziona come dovrebbe a partire da Daniele Liotti, incapace di incarnare il Carlotto giovane ribelle e il Carlotto fuggiasco braccato dalle autorità, decisamente troppo bello ma anche troppo acerbo, qui al suo primo ruolo importante dopo una marea di filmetti da dimenticare. Interessanti le musiche di Teho Teardo, già autore delle musiche di "Denti" di Salvatores e collaboratore dei Placebo.
Marco Catola 



Un film necessario per la dedizione con cui riesce a raccontare una storia vera, senza gonfiarsi della retorica delle corse insensate con cui molto cinema italiano recente sembra basarsi, risoluto nei tempi e preciso nella caratterizzazione dei personaggi.

Padova, anni Settanta. Un ragazzo iscritto a Lotta Continua, scopre casualmente un corpo appena martoriato dalla mano di un invisibile assassino. Il giovane in questione è Massimo Carlotto, ai più noto come scrittore di buona penna e ispirazione, ma protagonista di uno dei più incredibili, assurdi casi di persecuzione giudiziaria verificatisi nel nostro paese. Dopo aver deciso di testimoniare davanti ai carabinieri quello che aveva visto nella casa, è arrestato, accusato e giudicato come l'esecutore di quel tremendo omicidio.

Un vero e proprio cittadino al di sotto di ogni sospetto, nei confronti di cui lo Stato, tramite l'istituzione giudiziaria, decide di affibbiare il peso di una colpa non propria, interrogandolo per ore intere, ripetendogli fino allo stordimento le stesse accuse di essere un rosso, di essere l'unico ad esser stato in quella casa. La macchina giudiziaria si innesta su un buco nero, su uno spazio non scritto, per scrivere sul corpo dello sventurato le fatali lettere della condanna. Come nel racconto della Colonia penale kafkiana. Ora il suo problema non è capire perché questo sia accaduto, ma come riuscire a sopravvivere lontano dal carcere, mentre i gradi del giudizio, dopo un iniziale proscioglimento, gli ordinano ben diciotto anni di prigione.

Diventa una sorta di scarafaggio il giovane Massimo, la cui massima preoccupazione è di non essere pestato dalle persone che entrano nel proprio mondo incuranti della propria, nuova, fragilità. La metamorfosi si completa con l'esilio parigino, in cui conosce tanti altri perseguitati dalla longa manus della cacciatrice bendata, la giustizia. Cile, Messico, Guatemala, ma anche Italia, Spagna, questi sono i paesi da cui si fugge in quegli anni, accomunati dalla pratica della delazione, della presunzione di colpevolezza per accalappiare gli "irregolari", i refrattari verso i regimi imperanti con il loro diritto di guerra.

Ed in una felice intuizione Andrea Manni riesce a restituire con una associazione di immagini il montare di quel clima persecutorio che segnò l'escaltion: ancora a casa Massimo sta festeggiando con i genitori la sentenza d'appello che lo scagiona per insufficienza di prove. Il padre accende la tv, è il giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Stacco. Ancora una sentenza che pronuncia il pressoché definitivo verdetto di condanna dell'imputato. Questo breve ma sintomatico momento del film, costruito con un sapiente montaggio che riesce a tendere le corde emotive per l'intera sua durata, dilata la propria sfera simbolica per lasciarsi trafiggere dalla metafora. E pur non lasciandosi fuorviare da questa dimensione allucinatoria, perché il racconto vuole essere rigoroso e puntuale senza tesi da offrire al dibattito generale su quegli anni, il film riesce lo stesso a tranciare il volto ancora imberbe del protagonista dell'amara consapevolezza di essere un capro espiatorio per una colpa commessa da altri, come più tardi ammette anche il suo avvocato, un umanissimo Alessandro Benvenuti.

E di quella corsa disperata verso l'esilio, a cui fa da contrappunto l'iniziale fuga dalla casa dell'omicidio, resta il convulso battito di una vita non rassegnata all'irregimentamento, il respiro affannoso con cui durante i diciotto anni seguenti continuerà a lottare per la propria libertà, perdendo rapidamente quello che era (la ragazza, gli amici, la vita sociale e politica di Padova), ma riconquistando il proprio sè a partire dal contatto vitale con i tanti esuli su cui fino ad ora in pochi avevano saputo tratteggiare personaggi così accurati e dolenti. Come Lolò, il cileno conosciuto a Parigi che per tanti anni, fino alla morte, continuerà a battersi per la sua scarcerazione senza purtroppo riuscire a vederne l'esito.

Un film necessario per la dedizione con cui riesce a raccontare una storia vera, senza gonfiarsi della retorica delle corse insensate con cui molto cinema italiano recente sembra basarsi, risoluto nei tempi e preciso nella caratterizzazione dei personaggi. Un'opera di testimonianza non solo di una singolare vicenda, ma capace di risvegliare grazie ad essa connotati più generali, collettivi, destando nella categoria di "film civile" il suo senso più immediato ma anche, sembra, oggi più inafferrabile.

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