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lunes, 26 de agosto de 2013

Il figlio di Bakunin - Gianfranco Cabiddu (1997)


TITULO ORIGINAL Il figlio di Bakunin
AÑO 1997
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 96 min.
DIRECCION Gianfranco Cabiddu
ARGUMENTO libro "IL FIGLIO DI BAKUNIN" de Sergio Atzeni
GUION Gianfranco Cabiddu
REPARTO Renato Carpentieri, Fausto Siddi, Laura del Sol, Massimo Bonetti, Claudio Botosso, Paolo Bonacelli, Paolo Maria Scalondro, Francesca Antonelli, Luigi Atzeni, Mario Medas, Luigi Maria Burruano, Nicola Di Pinto, Claudia Fiorentini, Francesca Giordani, Massimo Loriga, Simona Cavallari, Dario D'Ambrosi, Pierpaolo Erriu, Alberto Sanna, Isella Orchis
FOTOGRAFIA Massimo Pau
MONTAJE Enzo Meniconi
MUSICA Franco Piersanti
PRODUCCION SCIARLO'
GENERO Drama

SINOPSIS Da un romanzo (1991) di Sergio Atzeni. Chi era l'anarchico sardo Tullio Saba, detto "il figlio di Bakunin", minatore, cantante, sindacalista: capopopolo o demagogo? ribelle o ladro assassino? amante appassionato o sottaniere? lavoratore o speculatore? eroe o traditore? Attraverso una serie di testimonianze contraddittorie che è anche un gioco degli specchi alla ricerca di un'impossibile verità univoca, si fa la cronaca della Sardegna dagli anni '30 alla fine dei '50. Un film lindo, diligente, corretto, soltanto illustrativo. Prodotto da Giuseppe e Francesco Tornatore, premiati con una Grolla d'oro. (Il Morandini)

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TRAMA: 
In Sardegna, alla fine degli anni Trenta, Antoni Saba, proprietario di una calzoleria in un paesino di minatori, vive con spirito libertario e indipendente, al punto di avere ricevuto da tutti il soprannome di Bakunin. Tullio Saba diventa quindi, per quanti lo conoscono, il figlio di Bakunin. Dagli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta, Tullio, cresciuto e diventato uomo, intreccia la propria storia con quella dell'isola, la guerra, il difficile dopoguerra, le lotte sociali, la ricostruzione, i problemi legati allo sviluppo e alla modernizzazione della terra, del lavoro, della vita familiare. Si susseguono, tra una ricostruzione e l'altra di vari episodi, le testimonianze di chi l'ha conosciuto, di chi l'ha amato, di chi ne ha avuto paura. Chi era Tullio in realtà? Un capopopolo, un opportunista, un idealista, un traditore, un eroe? Quando Tullio muore, lascia un figlio, che oggi, a sua volta cresciuto, è tornato in quei luoghi per ricostruire la vita di un padre che non ha mai conosciuto di persona e che cerca di scoprire, facendo parlare uomini e donne, amici e nemici.

CRITICA: 
"Fare un film da un libro di tal genere era impresa difficile e rischiosa. Si può intuire quel che ha spinto Cabiddu (e Tornatore): l'occasione di rievocare un frammento di storia sarda, dagli anni Trenta alla fine dei Cinquanta, attraverso le vicende di Tullio Saba. A questo livello informativo di memoria storica il film non manca d'interesse. C'erano due modi magari complementari, per dargli l'acqua della vita e dell'emozione cinematografica: puntare sulla struttura stessa dell'inchiesta o affidarsi alla statura del protagonista, farne un personaggio 'più grande della vita'. Nel primo caso bisognava avere una capacita d'invenzione e di scrittura che Cabiddu non possiede (ancora); nel secondo caso occorreva un grosso attore. Pur simpatico e disinvolto. Fausto Siddi non lo è. 'Il figlio di Bakunìn' è un film lindo, diligente, corretto, soltanto illustrativo". (Morando Morandini, 'Il Giorno', 17 ottobre 1997)

"A partire dal personaggio creato da Sergio Atzeni, Cabiddu gioca con indubbia originalità sul doppio tavolo della leggenda e della cronaca, iscrivendo in un falso reportage la ricostruzione di una storia picaresca. Ma qui sta anche il lato debole del suo film, un po' macchinoso nelle transizioni temporali e colpevole di qualche abbandono all'oleografia che, con questo tipo di struttura narrativa, si ha meno voglia di perdonare. Prodotto da Giuseppe Tornatore, protagonista Fausto Siddi, 'Il figlio di Bakunin' è comunque un film-film, lodevolmente lontano dall'estetica corriva e approssimativa del piccolo schermo". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 11 ottobre 1997)

NOTE: 
PRESENTATO NELLA SEZIONE: "EVENTI SPECIALI" IMMAGINI TRA CRONACA E STORIA AL FESTIVAL DI VENEZIA 1997. REVISIONE MINISTERO OTTOBRE 1997


SINOSSI: In Sardegna, alla fine degli anni Trenta, Antoni Saba, proprietario di una calzoleria in un paesino di minatori, vive con spirito libertario e indipendente, al punto di avere ricevuto da tutti il soprannome di Bakunin. Tullio Saba diventa quindi, per quanti lo conoscono, il figlio di Bakunin. Dagli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta, Tullio, cresciuto e diventato uomo, intreccia la propria storia con quella dell'isola, la guerra, il difficile dopoguerra, le lotte sociali, la ricostruzione, i problemi legati allo sviluppo e alla modernizzazione della terra, del lavoro, della vita familiare. Si susseguono, tra una ricostruzione e l'altra di vari episodi, le testimonianze di chi l'ha conosciuto, di chi l'ha amato, di chi ne ha avuto paura. Chi era Tullio in realtà? Un capopopolo, un opportunista, un idealista, un traditore, un eroe? Quando Tullio muore, lascia un figlio, che oggi, a sua volta cresciuto, è tornato in quei luoghi per ricostruire la vita di un padre che non ha mai conosciuto di persona e che cerca di scoprire, facendo parlare uomini e donne, amici e nemici.

Cinema e letteratura ne “Il figlio di Bakunin”: conversazione con Gianfranco Cabiddu.

Come è stato avvicinarsi ad un soggetto ispirato ad un’opera letteraria?
Il problema del rapporto tra cinema e letteratura ha investito tutto il Novecento. Il cinema fin dalla nascita si mette a confronto con la letteratura e ne esce sminuito, per poi scoprire una rivalsa in questi ultimi anni.
Quando ci mettiamo di fronte ad un’opera letteraria e un’opera cinematografica a confronto non dobbiamo mai dimenticare che esse nascono da uno spunto comune che viene svolto in due lingue diverse: libro e film infatti utilizzano due linguaggi diversi.
Il punto di partenza è la riflessione culturale sull’oralità in Sardegna. Il libro si manifesta come un’indagine sul passato con il metodo dell’intervista e attua un importante lavoro sulla lingua: ai vari personaggi corrispondono diversi tipi di linguaggio che fanno emergere le diverse provenienze sociali. Questo confronto nel film è immediato, poiché i personaggi ci vengono mostrati, per cui oltre a vedere immediatamente come sono fatti, come si vestono e si comportano, possiamo sentirne la voce e la capacità di linguaggio.
Non possiamo mai dimenticare che quando attuiamo una trasposizione cinematografica dobbiamo utilizzare un linguaggio diverso da quello letterario.

Come ha affrontato il problema della fedeltà?
La fedeltà non deve essere concepita come una perfetta aderenza all’opera letteraria da cui si trae spunto, ma come la capacità di far funzionare una storia nata in ambito letterario e poi adattata al linguaggio cinematografico.
Il film parla di una realtà vera oggettivamente, per cui se parlo di un determinato periodo storico tutto deve coincidere per dare coerenza e credibilità al racconto, perché lo spettatore si senta “dentro” la realtà del film.
All’interno del film ci sono delle scelte personali che intervengono su questo concetto di realtà: per esempio la scelta di mostrare il protagonista come un eroe; la storia di Tullio Saba si svolge, infatti, tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta, ma nonostante il tempo scorra per tutti gli altri personaggi e in relazione agli avvenimenti, per Tullio sembra non passare mai, perché egli appare sempre giovane e bello, non invecchia mai, incarnando così il concetto di favola.
Un’altra scelta interessante riguarda la descrizione del concetto della memoria: le persone che parlano oggi del passato, rievocandolo, lo fanno rivivere; questo aspetto viene sottolineato dal movimento di macchina che passa dal personaggio che parla nel presente allo stesso come era nel passato, senza alcun taglio all’interno del montaggio (es. Dolores, la serva di casa Saba, mentre racconta degli avvenimenti del passato viene mostrata anziana, poi abbiamo un movimento di macchina verso sinistra e la ritroviamo nel passato, protagonista di quel ricordo).

Quanto ha inciso nella realizzazione del film la collocazione della storia in Sardegna?
Personalmente lavorare su questo film ha significato la scoperta del mondo minerario, conosciuto come tanti di noi, solo per sentito dire. Inoltre mi ha permesso di dar spazio a quel cinema popolare a cui mi ispiro nei miei lavori: una sorta di epopea che rispecchia la realtà e che concede una maggiore facilità nella costruzione cinematografica.
Per quel che riguarda le locations, mi sono ispirato a elementi reali e fantastici, coniugando le diverse realtà di Montevecchio e di Iglesias.
Nel periodo in cui è stato girato Il figlio di Bakunin non c’era ancora la realtà cinematografica della Sardegna di oggi; il cinema sardo si esauriva in poche opere, più importante delle quali Banditi a Orgosolo degli anni Sessanta. Quella di Tullio Saba è, invece, una storia nazionale che parla da un punto di vista personale, come dovrebbe fare tutto il cinema, concedermi di poter parlare di un fatto qualsiasi dal mio punto di vista.
Per quel che riguarda la scelta degli attori ho tenuto in considerazione il problema del cinema che si trova a dover scegliere tra la spontaneità degli attori di strada, che stanno nel personaggio perché sono naturali, e gli attori professionisti, che attraverso la recitazione sono in grado di esprimere sentimenti universali altrimenti difficili da interpretare.
Tanto la regia quanto la recitazione sono arti dell’interpretazione. Sotto questo punto di vista Il figlio di Bakunin appare discontinuo, poiché attinge da diversi luoghi i propri attori: abbiamo attori di cinema, dialettali e attori provenienti da un teatro “colto”.

Nel complesso penso che il cinema sardo viva in un clima di forte autoreferenzialità, in cui si lascia poco spazio al confronto con il resto del mondo, quando invece si dovrebbero girare immagini per unire il mondo, poiché il cinema universale è quello che parla per immagini.
Chiara Sulis


IL FIGLIO DI BAKUNIN: DAL ROMANZO DI SERGIO ATZENI AL FILM DI GIANFRANCO CABIDDU

Il figlio di Bakunin è il primo esempio di trasposizione da testo letterario a testo filmico di cui ci occupiamo: l’opera letteraria firmata da Sergio Atzeni viene adattata per il cinema da Gianfranco Cabiddu.
L’opera di Sergio Atzeni esce nel febbraio del 1991 ed è composta da trentadue capitoli preceduti da una breve premessa. La storia ha come protagonista Tullio Saba, “raccontato” attraverso le testimonianze di chi l’ha conosciuto, raccolte dal giornalista interessato a ricostruirne la vita. Da ogni intervista emerge un po’ di verità su Tullio e le informazioni si rincorrono per tutta la durata della storia.
Il racconto narra della vita di Tullio Saba, nato a Guspini attorno agli anni Trenta. Tullio vive sin da bambino in un’agiatezza che pochi in Sardegna possono permettersi, poiché suo padre calzolaio ha fatto fortuna vendendo scarpe ai lavoratori della miniera del paese.
Il padre di Tullio, Antoni, è un anarchico convinto e spesso parla di un certo Bakunin, rivoluzionario russo che ammira molto per i suoi comportamenti accesi e decisi. Ne parla a tal punto che la gente del paese incomincia a chiamarlo Bakunin, e a lui questo non dispiace affatto.
La madre di Tullio, Donna Margherita si fa trattare come una vera signora e compra ogni settimana alla boutique del paese.
Tullio viene educato come il figlio di una famiglia nobile, studia il francese e veste come un signorino. Tutto questo fino a quando il padre produce le scarpe per i minatori; ma quando il direttore della miniera viene sostituito da un fascista, il padre perde gli ordini e con essi anche la sicurezza economica. Di lì a poco Bakunin muore, alcuni dicono di crepacuore, altri pensano che si sia suicidato.
Così la vita di Tullio cambia repentinamente ed è costretto ad andare a lavorare in miniera: la madre non accetta che suo figlio faccia quello che è considerato l’ultimo lavoro del paese e pian piano si spegne anche lei per il dispiacere.
Tullio si ritrova solo al mondo: continua a lavorare in miniera e affronta tutti i disagi che i minatori devono subire, soprattutto in tempi di fascismo. Anarchico come suo padre, infervora gli animi nei momenti di sciopero e di occupazione, fino a quando viene ucciso il direttore della miniera e il nuovo sostituto lo licenzia.
Nel mentre vive una storia d’amore con la moglie di un fascista con la quale vorrebbe fuggire, ma lei non accetta, per timore della reazione del marito.
Intanto ha luogo il processo per l’uccisione del direttore della miniera e Tullio è tra i principali indiziati: viene accusato di aver fornito l’arma del delitto, ma egli nega. Il processo si conclude senza che venga trovato il colpevole, anche a causa della forte omertà in cui si stringe il paese.
Tullio incontra Cesare, un cantante e suonatore di fisarmonica che si esibisce nei matrimoni e si unisce a lui. Anche in quest’esperienza si contraddistingue per sfacciataggine e arroganza, esibendosi spesso in canzoni allusive e facendo arrabbiare gli sposi, le cerimonie terminano spesso in rissa.
In particolare corteggia la fidanzata di un fascista solo per potersi vendicare di lui. Nell’ultimo periodo della sua vita, Tullio entra in politica: viene eletto nel ‘53 e tra le altre cose si occupa degli aiuti per gli alluvionati del Sarrabus. Si innamora e mette incinta la sua fidanzata, ma la storia va male e i due si lasciano.
Muore in una casa di Cagliari, triste e sofferente, con la sola compagnia della badante di 14 anni.
Questo è il racconto che emerge dalle interviste raccolte da un giovane giornalista di cui percepiamo la presenza solo nei momenti in cui qualcuno si rivolge a lui per qualche domanda o commento. Nell’ultimo capitolo questo misterioso intervistatore scopre, o forse trova conferma di un sospetto già vivo, di essere il figlio di Tullio Saba, tramite le affermazioni di una delle persone che ha intervistato.
La storia del figlio di Bakunin si dispiega secondo dei nuclei narrativi (34) in base ai quali sono ordinate le interviste:

1. La famiglia di Tullio (capitoli IV/VIII): all’interno di questo nucleo viene descritta la famiglia di Tullio e soprattutto la figura di suo padre Antoni, detto Bakunin, anarchico, calzolaio di successo fino all’avvento del fascismo. Al tempo stesso è descritto il contesto sociale all’interno del quale la famiglia vive, e le reazioni delle persone che entrano in contatto con essa, a volte positive, a volte negative a seconda della diversa provenienza politica e culturale.

2. Donna Margherita (capitoli XI/XII): all’interno di questo nucleo si delinea meglio la figura di Tullio, in rapporto alla madre. Donna Margherita è una persona distrutta dal dolore per la morte del marito e per le sfortune della vita; rimane sola in un paese che la disprezza con il figlio. Tullio da “signorino” si trova costretto ad andare a lavorare in miniera per mantenere la madre; emerge il suo orgoglio che lo porta a lavorare lontano dalla miniera del paese, per non dover condividere le fatiche con quelle persone che per tanti anni lo avevano visto vivere da signore.

3. Tullio Saba minatore (capitoli IX/X e XIII/XIV): è in questo nucleo che si definisce la figura di Tullio Saba: chi lo racconta giovane, bello, gentile e grande lavoratore e chi invece scansafatiche, donnaiolo, ciarlatano e istigatore.
Emerge uno spaccato di realtà del fascismo nei rapporti tra l’amante di Tullio e suo marito Camicia nera (capitolo IX).

4. La vita della miniera (capitoli VI/VIII, XIII/XIV, XVII/XX): essa è descritta tanto dai minatori, quanto dai dirigenti; vengono descritte le condizioni di vita dei minatori e il movimento operaio in Sardegna durante il fascismo.

5. Giustizia/legalità: questo nucleo si intreccia con quello precedente ed è rappresentato dalla testimonianza del magistrato che ha seguito il processo per l’omicidio del direttore della miniera. Egli racconta il proprio contatto con la gente del paese e con le loro credenze popolari.
A seguire si sviluppano tre nuclei all’interno dei quali si delinea in maniera più specifica la figura di Tullio Saba:

6. eroe di guerra (capitoli XV/XVI);

7. cantante (capitoli XXI/XXIV);

8. uomo politico (capitoli XXV/XXVI).
Gli otto nuclei narrativi sono preceduti da una sorta di prologo composto dai primi tre capitoli all’interno dei quali inizia la ricerca del giornalista. Da essi emergono i primi indizi su Tullio Saba e le prime difficoltà nel fare luce sulla vita di una persona, tramite testimonianze di altri. Ad ogni nucleo corrisponde un periodo della vita del protagonista che emerge dalle informazioni, a volte puntuali, a volte confuse dei vari intervistati.

L’aspetto più interessante de Il figlio di Bakunin riguarda la modalità con cui viene raccontata la storia di Tullio Saba. Le notizie che apprendiamo del protagonista ci permettono pian piano di ricomporre un mosaico creato da persone che molto spesso non si sono mai conosciute, ma che fanno comunque parte “dell’universo Bakunin” e sono in grado di darci una descrizione delle vicende dei Saba.
Così Tullio Saba e i suoi familiari prendono forma attraverso le parole degli intervistati, i quali diventano essi stessi personaggi. Per cui abbiamo una storia nella storia: la storia di Tullio Saba raccontata dagli intervistati e la storia di ogni intervistato che si racconta, volente o nolente, attraverso i ricordi. Ogni intervistato non viene descritto da alcuna istanza narrante, ma si presenta da solo, con il proprio modo di esprimersi e sottolineando il diverso rapporto che ha instaurato con Tullio Saba e la sua famiglia. Un esempio concreto che possiamo citare è il linguaggio del magistrato che ha curato il processo per l’omicidio del direttore della miniera e a confronto quello della cuoca di casa della famiglia Saba.
Il magistrato con linguaggio professionale e tecnico descrive la propria esperienza in rapporto al clima di omertà di un paesino della Sardegna degli anni Cinquanta: l’intera comunità si oppone alle indagini testimoniando in direzioni differenti e confondendo anche quelle poche certezze che il magistrato possiede, secondo il tradizionale metodo di omertà che contraddistingue molti piccoli paesi in cui la vendetta corrisponde alla giustizia. Il magistrato racconta di come il paese dia importanza ai sogni della “strega del paese” tanto da proporre di farla testimoniare, come se i suoi sogni potessero essere messi agli atti e essere utilizzati all’interno del processo.
La cuoca di casa Saba, invece, utilizza un linguaggio semplice, ma non meno chiaro di quello del magistrato, a tratti intercalato da espressioni in lingua sarda. Racconta di come andavano le cose nella famiglia Saba prima che il lavoro del padre di Tullio cominciasse ad andare male e sottolinea il rapporto dei Saba con il resto del paese, quanto essi fossero malvisti per le arie che si davano e invidiati per le loro possibilità economiche. La cuoca è giudicante (<<Tullio Saba era un bambino vanitoso, l’ho scoperto molte volte che si specchiava nell’unico specchio di casa…>>)(35), e pettegola (<<…vedo Fiammetta Saba, la maggiore di Antoni, stretta a un bracciante, sotto un mandorlo, fuori paese, e con le gonne sollevate! Io non ero uscita per spiarli, Dio mi guardi, Dolores Murtas non è spia…>>)(36), giustificando di volta in volta le proprie affermazioni e negando di essere una che maledice, una spia, una insomma che si interessa della vita degli altri.
Un altro elemento forte che percorre il romanzo è il continuo riferimento alla memoria. Sono parecchi gli intervistati che ne sottolineano l’importanza e alcuni di essi confessano di averla un po’ persa a causa dell’età. La memoria permette loro di rievocare avvenimenti, nonché immagini, emozioni e per ognuno custodisce un pensiero, un’esperienza che ci avvicina al protagonista. Fin dal primo capitolo si cita la memoria come componente decisiva dello svolgersi della storia, quando la donna, madre dell’intervistatore, gli propone di andare a cercare notizie su Tullio Saba nei luoghi in cui egli ha vissuto <<Vai a Guspini, i guspinesi hanno buona memoria,era un loro compaesano, sanno tutto, se chiederai racconteranno. E scoprirai quel che resta di un uomo, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui>>(37).
Successivamente nel settimo capitolo il testimone all’interno del proprio discorso dice: <<[…]riferisco quello che ho sentito dire, non quello che ho visto, sai come sono le storie che vanno di bocca in bocca fra la gente, all’inizio c’è una briciola secca, ognuno aggiunge il suo, e dopo un po’ hai una pagnotta grassa e fumante>>38, per sottolineare quanto le storie attraverso il tempo e il passaggio da persona a persona possano mutare, prendendo forma e direzione differenti rispetto alla
fonte iniziale e soprattutto ingigantirsi, dal momento che ogni persona che ne entra in possesso vi aggiunge qualcosa.
Infine nel trentaduesimo capitolo, a conclusione di tutte le testimonianze raccolte, il giornalista dice: <<Qui finisce quel che resta di Tullio Saba nella memoria di chi l’ha conosciuto. […] Non so quale sia la verità, se c’è verità. Forse qualcuno dei narratori ha mentito sapendo di mentire. O invece tutti hanno detto ciò che credono vero. Oppure magari hanno inventato particolari, qui e là, per un gusto nativo di abbellire le storie. O, ipotesi più probabile, sui fatti si deposita il velo della memoria, che lentamente distorce, trasforma, infavola, il narrare dei protagonisti non meno che i resoconti degli storici.>>(39)
Con questa chiusura Sergio Atzeni identifica nella memoria lo strumento attraverso il quale si cerca di ricordare e di far emergere la verità, ma al tempo stesso attraverso cui si distorcono e trasformano i fatti fino a perderne il senso di realtà.
Il particolare modo di raccontare i fatti della vita di Saba e l’elemento della memoria, non sono altro che dei pretesti per riflettere sul raccontare: quanti modi diversi esistono per raccontare e quanto la memoria da un lato aiuti e dall’altro ostacoli tali racconti.
Proviamo ad analizzare i segni del narrare, che costituiscono la struttura del romanzo: secondo uno schema prestabilito l’origine e la destinazione della storia provengono dalla ricerca del giornalista che incuriosito dal racconto della prima testimone (presumibilmente sua madre), intraprende la serie di interviste, per giungere alla constatazione che Tullio Saba era suo padre. L’attività del narrare è delegata a una serie di testimoni che tessono inconsapevolmente i fili di una tela che pian piano prende forma sotto gli occhi del giornalista, e sotto i nostri.
I segni del narrato che rappresentano avvenimenti e situazioni raccontate hanno a che vedere con la storia di Tullio e si costituiscono come contenuto all’interno del contenitore creato dalla struttura delle interviste.
Il giornalista che ci conduce alle varie narrazioni non interviene mai all’interno di esse, anche se spesso qualcuno dei testimoni gli rivolge qualche domanda o gli fa qualche commento. La sua presenza, per quanto molto discreta è indispensabile, poiché funge da mediatore tra il racconto del testimone e il lettore; inoltre ogni testimone ha un contatto con l’intervistatore, ma non con gli altri testimoni, come se ognuno facesse parte di un piccolo mondo dal quale si può attingere solo attraverso l’intervento del giornalista.
Come fa giustamente notare Floris <<Atzeni sceglie di non costruire attorno ai testimoni e all’intervistatore quella cornice che generalmente fa entrare i personaggi in rapporto uno con l’altro e che soprattutto caratterizza l’ ambiente in cui essi si muovono, una cornice che può aggiungere […] un qualcosa al loro carattere e che consente una maggiore ricchezza nell’ambientazione delle vicende.>>(39)
La trasposizione cinematografica operata da Gianfranco Cabiddu sfrutta molti degli elementi del romanzo di Atzeni, tra cui l’utilizzo dell’intervista per giungere a informazioni sulla vita di Saba e il continuo passaggio dal presente ai ricordi del passato; per questo potremmo definire questo adattamento “fedele”, poiché le due opere raccontano la stessa storia seguendo la stessa struttura.
Riprendendo il concetto di fedeltà trattato precedentemente, sottolineiamo, però, quanto per una trasposizione l’importante non sia l’aspetto della fedeltà, ma la capacità di rendere la storia comprensibile attraverso i propri mezzi.
E' proprio per questa ragione che il film di Cabiddu, per quanto fedele, si differenzia dall’opera di Atzeni: in primo luogo esso è molto più ricco sia nella narrazione che nella caratterizzazione di ambienti e personaggi, e questo per ovvi motivi legati alla natura stessa del cinema che per narrare deve mostrare; sul piano della narratività possiamo notare delle soluzioni cinematografiche che aiutano il regista ad esprimere il passaggio di tempo senza che ci siano degli stacchi netti: spesso il racconto di un avvenimento passato che all’interno del romanzo viene descritto come un ricordo, nell’opera filmica di Cabiddu viene narrato sotto forma di flash-back, come se il testimone che sta narrando il ricordo, lo rivivesse in quel momento.
Inoltre attraverso il montaggio i nuclei narrativi non sono separati nettamente, e gli elementi narrativi non sono separati in maniera rigida <<in modo da non rendere sempre oggettiva la definizione del passaggio da una sequenza all’altra.>>(40); spesso le sequenze sono unite da una musica extradiegetica, da una voce fuori campo, detta voce off, o da una panoramica.
Nel complesso le due opere si presentano in maniera differente perché il film disegna un quadro più omogeneo e unitario, all’interno del quale i testimoni entrano a contatto fra di loro e sono descritti anche attraverso i luoghi e le situazioni; il libro rimane invece chiuso secondo una struttura che privilegia la paratassi, all’interno della quale la comunicazione tra le diverse testimonianze è impossibile.
A volte delle testimonianze che nel libro sono separate vengono unificate all’interno di un’unica sequenza, per rendere l’avvenimento in maniera più precisa e forte e, soprattutto per non incorrere in inutili ripetizioni, come per esempio l’episodio di due testimoni, marito e moglie, che nella sequenza del film vengono presentati uno affianco all’altro e nel libro sono rigorosamente separati, ciascuno con la propria intervista.
Un altro momento in cui si presenta l’unificazione dei contenuti delle varie interviste avviene quando un episodio suddiviso in diverse interviste del libro, viene raccontato in maniera consecutiva all’interno del film: come per esempio il racconto della passione “politica” di Antoni Saba e l’arrivo del nuovo direttore della miniera, episodi raccontati in due interviste differenti e racchiusi nel film all’interno della stessa sequenza.
Altro esempio interessante che ci permette di analizzare la differenza tra libro e film, prodotta dai diversi mezzi di espressione, è la sequenza riguardante Dolores Murtas, la cuoca di casa Saba.
Nel libro ricopre un ruolo simile a quello di tutti gli altri intervistati: racconta i propri ricordi e le proprie esperienze in relazione alla famiglia Saba; nel film, come molti dei testimoni, diventa personaggio stesso della sequenza, sia nel ricordo dei giorni in casa Saba e sia nel presente, ma per lei presente e passato sono separati dalla distanza inverosimile di una stanza: infatti dal ricordo della tavola imbandita a casa Saba, la macchina da presa fa una carrellata laterale da sinistra verso destra e ci mostra Dolores Murtas, ora anziana, che continua a raccontare in prima persona.
Il film si presenta come un’opera corale che supera la singola intervista e definisce di volta in volta il personaggio di Tullio, in maniera sempre più dettagliata; nel romanzo invece Tullio è una figura leggendaria e indefinita, che prende forma grazie ai ricordi delle persone, a volte in contraddizione le une con le altre.(41)
Questa trasformazione e ricostruzione dei personaggi è stata adottata anche per rispondere all’esigenza di far emergere la figura di Tullio a discapito degli altri personaggi: quelli che nel libro di Atzeni erano dei protagonisti, perché tutti allo stesso livello di narrazione, nel film di Cabiddu si trasformano in personaggi di secondo piano e si annullano per far emergere Tullio Saba.
E questa non è l’unica soluzione che porta Saba in primo piano rispetto agli altri personaggi: spesso, infatti, egli prende il merito di azioni che nel libro di Atzeni sono state compiute da altri; in quest’ottica Saba assume le sembianze di un eroe che riesce a trascinare le masse, a compiere azioni incredibili: nel film di Cabiddu, per esempio, la bandiera rossa sistemata da Tullio sul campanile resta lì per anni, quasi a ingigantire l’impresa e a rendere ancora più merito al personaggio, mentre invece nel libro essa viene tolta appena il giorno dopo da un carabiniere.
Oltre a delineare in maniera precisa e definita il protagonista Saba e gli altri personaggi, relegandoli comunque a ruoli minori, il regista per ottenere una migliore comunicazione deve completare ciò che Atzeni ha lasciato a metà.
Cabiddu, infatti, decide di specificare chi sia l’intervistatore, dandogli un corpo e rendendolo personaggio a tutti gli effetti; inoltre rende palese il fatto che l’intervistatore è il figlio di Tullio Saba, attraverso una serie di riferimenti: quando la prima testimone parla al figlio e gli consiglia di andare a cercare notizie su Tullio Saba a Guspini, gli racconta del giorno in cui lei e la sua amica lo hanno incontrato e fa riferimento a dei cappellini che loro stesse avevano confezionato.
Successivamente in un flash-back, ritroviamo questa descrizione fatta a immagine e, ricordando questo riferimento, riconosciamo la prima testimone da giovane. Infine, quando il giornalista, al termine della sua ricerca, riceve gli oggetti personali di Saba, notiamo la foto delle due donne con il cappellino e una di Saba minatore. Quest'ultima foto permette a lla donna che sta consegnando i materiali al giornalista di notare la somiglianza con Tullio.
E per fine , per togliere ogni dubbio allo spettatore, anche il più distratto, il regista modifica l'ultimo capitolo dell'opera di Atzeni aggiungendo alla frase del giornalista la conferma che Tullio Saba è proprio suo padre.  
La storia del figlio di Bakunin di Atzeni è contornata da un alone di misterio e di leggenda, che funziona proprio perchè lasciata all'imaginazione del lettore; è una storia senza troppi fronzoli e troppe pretese: raconta la storia di un'uomo qualsiasi, atraverso la memoria di altri uomini, ciascuno dei quali espone la propria verità.
La storia di Cabiddu deve creare un grande personaggio, un eroe a tutto tondo che compie grandi azioni e attraversa grandi eventi, per non lasciare niente di sospeso, dato che l'espressione cinematografica è fatta di "mostrazione".


34 Per l’analisi dei nuclei narrativi: Antioco Floris, Le storie del figlio di Bakunin, Dal romanzo di Sergio Atzeni al film di Gianfranco Cabiddu, Cagliari, Aipsa edizioni / cinemania, 2001, pp. 45-48.
35 Sergio Atzeni, Il figlio di Bakunin, Palermo, Sellerio editore, 1991, p. 18.
36 Ivi, p. 23.
37 Ivi, p. 12
38 Ivi, p. 29
39 Ivi, p. 119
39 Antioco Floris, op. cit. , p. 95
40 Antioco Floris, op. cit. , p. 60
41 A proposito di Tullio Saba visto come uomo che incarna una leggenda, ne abbiamo conferma dallo stesso regista Gianfranco Cabiddu, che afferma di non aver sottolineato il passare degli anni del personaggio perché secondo lui, incarnando una sorta di leggenda, quella della libertà, doveva distaccarsi dalla realtà. Confronta Antioco Floris, op. cit. , p. 127

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