ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




domingo, 13 de enero de 2013

Maciste all'inferno - Guido Brignone (1926)


TITULO ORIGINAL Maciste all'inferno
AÑO 1926
IDIOMA Mudo (Carteles en inglés)
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACION 65 min. 
DIRECCION Guido Brignone
ARGUMENTO Dante Alighieri
GUION Riccardo Artuffo
PRODUCCION Fert-Pittaluga
FOTOGRAFIA Ubaldo Arata y Massimo Terzano
EFECTOS ESPECIALES Segundo de Chomón
ESCENOGRAFIA Giulio Lombardozzi
INTERPRETES Y PERSONAJES
Bartolomeo Pagano: Maciste
Elena Sangro: Proserpina
Pauline Polaire: Graziella
Franz Sala: Barbariccia/Dottor Nox
Umberto Guarracino: Pluto
Lucia Zanussi: Luciferina
Domenico Serra: Giorgio
Mario Saio: Gerione
Felice Minotti
Sergio Amidei: uno dei diavoli
GENERO Fantástico

SINOPSIS Nel XVII secolo in un paesino scozzese (ma accadeva anche in Italia...) Martha Gutt è condannata al rogo come strega. Maciste scende negli inferi per salvarla e “dare una regolata ai diavoletti ribelli… (Film Scoop)



Trama
Pluto, re dell'inferno, manda sulla terra Barbariccia, sotto le vesti del dottor Nox, per procurare anime e prendere Maciste, che abita in un paese di campagna. Barbariccia arriva alla casa di Maciste con altri cinque diavoli, ma egli lo caccia; anche Graziella, vicina di casa di Maciste, resiste alle lusinghe del diavolo. Barbariccia fa incontrare Graziella con un giovane ricco signore, Giorgio, che dopo aver ricambiato il suo amore l'abbandona sola con un figlio. Maciste costringe Giorgio a tornare dalla giovane, salvando il bambino che Barbariccia aveva rapito e abbandonato nel bosco. Maciste si scontra con Barbariccia e cade in una trappola; viene così spedito all'inferno. Qui viene conteso dalla moglie di Pluto, Proserpina, e dalla sua figliastra, Luciferina. Dopo aver dato un bacio a Proserpina, Maciste si trasforma in un demone. Barbariccia, geloso delle attenzioni di Proserpina per Maciste, organizza una rivolta contro Pluto; Maciste interviene a difendere Pluto e umilia Barbariccia. Il re dell'inferno, riconoscente, decide così di graziare Maciste, rendendogli possibile di tornare sulla terra. Proserpina, però, lo incatena ad una roccia. La notte di Natale saranno le preghiere del figlioletto di Graziella, sposatasi con Giorgio, a liberare infine Maciste.

Produzione
Tratto, come recita una delle locandine del periodo, da «una diavoleria di Fantasio», al secolo Riccardo Artuffo che a sua volta aveva "pescato" dall'Inferno di Dante, il film di Brignone ebbe problemi con la censura: alla prima presentazione per ottenere il famoso visto venne bocciato (ottobre 1925). Fu concesso solo nel marzo del 1926 (n. 20529 del 31/03/1926) dopo che la lunghezza originale di 2502 metri era stata ridotta a 2475. Comunque il film, nella sua versione integrale, era già stato visto da migliaia di persone perché proiettato varie volte durante la Fiera di Milano del 1925, nell'ambito della quale si svolgeva un concorso internazionale cinematografico, ottenendone anche un premio[1]. Anche nella versione ridotta ci fu certamente un tentativo di sfidare la censura: poche rappresentazioni osées di corpi femminili negli anni trenta sono paragonabili a quelle messe in mostra nei gironi infernali[2] e fotografate da Arata e Terzano.
Nel 1940 il film venne anche sonorizzato e circolò ancora a lungo nei cinema italiani[1].
Una versione muta, restaurata, di 100 minuti a 20 f/s è stata presentata dalla Cineteca di Bologna al festival cinematografico Il cinema ritrovato del 2009[3].

Testimonianze 
Alla lavorazione del film partecipa anche un giovanissimo Sergio Amidei, il futuro celebre sceneggiatore, come comparsa. Dietro il buon compenso di 40 lire, ricorda in un'intervista, fu però costretto a patire un gran freddo: le riprese si svolgevano nel mese di novembre nel territorio della Valle Stura di Demonte e lui, per interpretare il ruolo di uno dei tanti diavoli che popolano l'Inferno nel film, indossava solo una specie di mini-gonnellino di pelo di capra con una coda fatta a molla[4].
La testimonianza di Federico Fellini, rilasciata in varie interviste sul periodo della sua infanzia, farà guadagnare invece una nuova gloria al film[5]: «[...] I primi film, dunque, li ho visti al cinema Fulgor. Qual è stato il primo tra i primi? Sono sicuro di ricordare [...][che] Il film si chiamava Maciste all'inferno. L’ho visto in braccio a mio padre in piedi tra una gran calca di gente con il cappotto inzuppato d’acqua perché fuori pioveva. Ricordo un donnone con la pancia nuda, l’ombelico, gli occhiacci bistrati lampeggianti. Con un gesto imperioso del braccio faceva nascere attorno a Maciste anche lui seminudo e con un tortore in mano un cerchio di lingue di fuoco»[6].
Una cronaca pubblicata su una rivista dell'epoca ci riferisce invece di «un caso curioso occorso ad una troupe»: « Sulle sponde di un vorticoso torrente, incassato tra orridi dirupi delle nostre Alpi e che offrivano un autentico scenario infernale, ricco di antri paurosi e selvaggi, da giorni si era accampata la numerosa troupe della "Fert", che eseguisce Maciste all'inferno.
Così si potevano vedere parecchi attori in sembianze di diavoli irsuti e saltellanti scorrazzare di qua e di là al comando di Guido Brignone. Quel remoto cantuccio dei nostri monti si era trasformato in un vero lembo del regno di Plutone. [...] Ed ecco sbucare a un tratto, dalla stradicciuola che scendeva a valle, un ragazzo di un paese vicino e appollaiato sulle cime più alte. A quella infernale vista il poveretto s'arrestò spaurito e sgranò gli occhi. Poi gettò un grido e se la diede a gambe su per le balze, saltando come un capriolo. Ma il bello venne dopo. Infatti, non era trascorsa un'ora che dal paese scendevano in frotta i montanari armati di randelli, di picche, di tridenti e di quanto era capitato a portata di mano. C'era tutto il paese e li comandava il buon parroco. Venivano a vedere donde era sbucata l'orda diabolica ed erano pronti a fugarla. Tuttavia l'equivoco fu tosto spiegato e i buoni montanari si accamparono nelle vicinanze per assistere allo svolgersi della scene più infernali che si possano immaginare! Qualcuno, anzi, avrebbe avuto una voglia matta di fare egli pure il diavolo!»[7].

Critica
Edgardo Rebizzi in L'Ambrogio del 28 aprile 1926: «[...] Un film in cui si riscontrano un non comune intendimento di arte e una genialità di fantasia insolite. La lotta del Male contro il Bene in Maciste all'lnferno si complica di elementi soprannaturali [...]. La rievocazione del mondo infernale è fatta secondo la tradizione classica dantesca. [...] Il film è stato inscenato con grandiosità e con ricchezza di mezzi. Per creare il Regno delle Tenebre sono state eseguite costruzioni monumentali, antri paurosi e bolge profonde. La moltitudine dei demoni è imponente e spettacolosa [...]. Ma ai quadri di bellezza, diremo così, infernale, rosseggianti di fiamme e densi di ombre, si alternano quadri di paesaggio idilliaco, di semplicità agreste e domestica, sul cui sfondo agiscono le persone terrene. Oltre al prestigio di un'ottima fotografia efficacemente stereoscopica, morbida, pastosa, pittorica, doviziosa di effetti di luce, sapientemente resi e atti a raffermare la tonalità del quadro, a dare un senso di irreale al reale, il film sfoggia non pochi virtuosismi tecnici di mirabile fattura. Per i suoi meriti tecnici e artistici, per l'originalità dell'argomento, Maciste all'inferno costituisce uno dei massimi lavori che la cinematografia italiana abbia prodotto in questi ultimi tempi »[8].
Un giudizio anonimo è invece quello pubblicato in La Rassegna del Teatro e del Cinematografo del 30 aprile 1926: «[...] Non a torto il film è intitolato: diavoleria è una cosa strana, un impasto di grottesco, di gentile, di sentimentale, di fantastico, di comico e di tragico; un motivo fondamentalmente goethiano inscenato bene, col concorso di una serie impressionante di trucchi [...]. Bisogna riconoscere che il film è ben riuscito: Le scene dell'inferno, lavorate sui ben noti motivi danteschi, sono ancora quanto di meglio finora ci è accaduto di vedere in questo tema. Come risulta dalla esposizione della trama, non c'è nel film nulla in tesi di immorale; però, a causa di alcune scene, esso è da ritenersi inopportuno per i giovanetti ».
Vico D'Incerti in Ferrania del giugno 1951, in occasione del venticinquesimo dall'uscita del film: « [...] Un curioso film, non privo di una certa grandiosità, girato in una vallata delle Alpi piemontesi (la valle di Stura, n.d.r.) che, nonostante tutto ha un notevole successo commerciale dovuto in buona parte alla generosa esibizione delle proprie grazie che, con la scusa dell'inferno, vi fanno la bella Elena Sangro e le molte altre donzelle [...]».

Note
1.^ a b V. Martinelli, op. cit., p. 272
2.^ Gian Piero Brunetta, Il cinema muto italiano, Laterza, Roma-Bari 2008, pag. 299
3.^ Dal programma del festival a pag. 161
4.^ Sergio Crechici, Sergio Amidei: il Signore delle Storie, 2004
5.^ Gianfranco Casadio, Dante nel cinema, Longo Editore, Ravenna 1996, pag. 51
6.^ Federico Fellini, Intervista sul cinema, a cura di Giovanni Grazzini, Laterza, Roma-Bari 1983
7.^ Anonimo, Un caso curioso occorso ad una troupe della "Fert", in "La Vita Cinematografica", XV, 20, 30 ottobre 1924, pag. 56
8.^ Critica citata anche da Mario Verdone, Il film atletico ed acrobatico, in "Centofilm", n. 17, Torino 1960
http://it.wikipedia.org/wiki/Maciste_all'inferno_(film_1926)
---
Cuando ud. se sienta a ver algo titulado "Maciste al Infierno", no se puede evitar presentir la proyección de un entretenimiento juvenil y de pocas pretenciones. El filme en cuestión, último de la antigua serie del personaje citado, constituye una interesante sorpresa tanto en lo narrativo como en lo visual. La trama se inicia con el noble Maciste (Bartolomeo Pagano), un habitante del siglo del romanticismo cuyo carácter es el de un bonachón que arregla con su fuerza fantástica todo aquello que se presenta confuso o incierto. Un demonio llamado Barbariccia (Franz Sala) sube a la tierra con el objeto de conseguir almas frescas para su superior, y viene a meterse con Maciste. Ante la simpleza de espíritu, sinceridad y afabilidad de Maciste, Barbariccia no puede hacer nada y todos sus intentos de convencimiento o seducción prueban ineficaces. Defenestrado por el bruto, el diablo se acerca a una jovencita (Pauline Polaire) protegida de Maciste, que ha quedado embarazada de un jovencito que aún no se decide a hacerse maduro. Enterado Maciste, visita al joven para hacerle tomar conciencia y en pos de salvar a la joven, es que cae en un infierno más parecido a un sindicato en conflicto que al hogar de las almas condenadas. Al primer signo de hostilidad diabólica, Maciste comienza a repartir moquetes y los trasgos llevan la peor parte. En momentos de descanso, pasea por las instalaciones y descubre a un Lucifer, Emperador del reino del dolor, devorando un traidor, viaja en un dragón (avión del infierno) y se codea con Plutón (Umberto Guarracino), técnicamente Rey del Averno. Entre tanta visita guiada, a Maciste se le inflama el pecho (si es dable semejante cosa) por una demonia cuyo beso convierte al Mr. Músculo del cine mudo en un Diablo con cuernos y cola. Hay una asonada de íncubos bajo el mando del sedicioso Barbariccia y por supuesto la ayuda de Maciste será determinante para el bando ganador. Esta sucesión de correrías y desventuras está finamente subrayada por trucos de cámara de Segundo de Chomón, ornamentados maquillajes especiales y una acción desbordante y fantástica que ofrecen un ambiente acorde al legendario L'INFERNO (1911) de Liguoro, Bertolini y Padovan, pero reemplazando el carácter reverencial de la obra de Dante por las trompadas y piñas del evangelio de Maciste. [Cinefania.com]
http://www.cinefania.com/movie.php/5563/
---
“Uno dei miei primi ricordi è Maciste all’Inferno. Mi pare persino che sia il mio primo ricordo in assoluto. Ero molto piccolo. Mi ricordo questo saloncino buio, fumoso, con quest’odore pungente e, sullo schermo giallastro un omaccione con una pelle di capra che gli cingeva i fianchi, molto potente di spalle, con gli occhi bistrati, le fiamme che lo lambivano intorno, e davanti a lui delle donne anche loro bistratissime, con ciglia a ventaglio, che lo guardavano con occhi fiammeggianti.”
“Quale è stato il primo film che ho visto? Ne conservo un ricordo molto preciso la cui immagine mi è rimasta impressa nella memoria al punto da cercare di riprodurla in tutti i miei film. Si chiamava Maciste all’Inferno.”
Era il 1926. Oggi è quasi impossibile parlare del film di Brignone senza citare questi ricordi di Fellini. E a ragione, il Maestro, in diversi articoli e interviste, ne ha fatto in qualche modo il protagonista di una “scena originaria” del suo inconscio cinematografico.
In Maciste all’Inferno, - “testimonianza geniale del nostro cinema classico”, dice il testo di presentazione del film all’ inizio degli anni ’40 – Maciste, il “gigante buono”, è il protagonista di un’ avventura in cui fantasia e realtà si mescolano in un equilibrio perfetto. Precipitato agli inferi, Maciste, vittima di una trappola diabolica, entra nel regno dei condannati facendo sentire ai demoni tutto il peso della sua forza nel prendere le parti di Plutone contro il ribelle Barbariccia. La preghiera di Natale di un bambino farà ritornare Maciste sulla terra. Questa avventura, dove il grottesco contrasta l’umano, termina dunque con la vittoria del bene sul male.
Due film coesistono e si incrociano nel Maciste all’Inferno di Brignone. Il primo, che si svolge sulla terra, è piuttosto convenzionale nel suo sviluppo drammatico: Maciste (Bartolomeo Pagano) è un contadino virtuoso che prende le difese di Graziella (Paline Polaire), una vicina che ha ceduto a un seduttore.
Un secondo film racconta l’avventura di Maciste agli inferi, dove è precipitato, vittima di una trappola di Barbaroccia. La grande esuberanza di questo film fa presto dimenticare il primo.
Nelle fiammeggianti scenografie di cartapesta di Segundo de Chomon, mago degli “effetti speciali” dell’epoca, si trovano riferimenti all’iconografia del teatro di varietà e alle illustrazioni di Gustave Doré, l’illustratore più riconosciuto e popolare della Divina Commedia.
A questa parodia letteraria si uniscono le più fantastiche variazioni su un repertorio che trova le sue origini nel cinema di George Méliès. Non solamente il clima è quello di certe parodie mitologiche di Méliès, ma i trucchi tipici di Méliès sono reinterpretati in modo intelligente da Segundo de Chomon, come il diavolo decapitato da un ceffone di Maciste che riagguanta la sua testa e la rimette a posto prima di risistemarla sulle spalle.
Maciste all’Inferno sembra essere una risposta italiana dell’epoca al cinema nordico e ai suoi tentativi visionari e mistici. Nel 1926, il film di Brignone si presenta come la proposta di un cinema fantastico con profonde radici nella tradizione mediterranea, nutrito di fantasie carnevalesche, di attaccamento alla terra e di buoni sentimenti. Al dramma metafisico e simbolista – tentativo peraltro presente nel cinema italiano – è preferito un abile dosaggio di “politica del melodramma” e di “ragione comica”.
Una curiosità: lo spettatore attento osserverà che il fiato dei personaggi che parlano si condensa. Questo particolare, davvero poco plausibile nel clima ardente dell’inferno e che potrebbe passare inosservato nella profusione di fumi e vapori sulfurei, si spiega con la temperatura glaciale presente a Torino nel periodo delle riprese.
http://www.marcodalpane.com/note%20films/Maciste%20all-inferno.htm


Pluto, re dell'inferno, invia sulla terra Barbariccia sotto le spoglie del dottor Nox per procurare anime e portare nel regno degli inferi Maciste, il quale vive in un paesetto di montagna. Quando Barbariccia, con altri cinque diavoli, gli arriva in casa, Maciste non ci pensa due volte e lo scaraventa fuori. Anche Graziella, una vicina di casa, resiste alle lusinghe del demonio. Barbariccia allora fa incontrare Graziella con un giovane ricco signore, Giorgio, che dopo aver ricambiato il suo amore la abbandona sola con un figlio. Maciste si reca al palazzo di Giorgio, lo costringe a tornare dalla ragazza e salva anche il bambino che Barbariccia aveva rapito e abbandonato nel bosco. In uno scontro con Barbariccia, Maciste cade in una trappola e viene spedito dritto all'inferno, dove è conteso tra la moglie di Pluto, la seducente Proserpina e la figliastra di lei, Luciferina: per un bacio dato a Proserpina, Maciste si trova trasformato in demonio. L'attrazione che prova per lui Proserpina ingelosisce Barbariccia, il quale, con il pretesto di moralizzare l'ambiente, organizza una rivolta contro Pluto. Maciste accorre in difesa del re dei demoni, sbaragliando i rivoltosi e umiliando Barbariccia. Pluto, riconoscente, libera Maciste dall'incantesimo e lo lascia libero di tornare sulla terra. Proserpina non si rassegna a lasciarlo andare e lo incatena a una roccia, vanamente provocandolo con nuove seduzioni. Il gigante buono verrà liberato la notte di Natale dalla preghiera del bimbo di Graziella, sposatasi con Giorgio.
Nell'esangue panorama del cinema italiano del 1926 ? solo ventidue titoli vengono sottoposti al visto di censura ? escono quasi contemporaneamente quattro film interpretati da Bartolomeo Pagano nel ruolo di Maciste, forzuto popolare, innocente e buono. Tra un Gigante delle Dolomiti dello stesso Guido Brignone, Maciste contro lo sceicco di Mario Camerini e Maciste nella gabbia dei leoni ancora di Brignone, spicca questo Maciste all'inferno, girato negli stabilimenti torinesi della Fert nella primavera del 1925 e per gli esterni nella valle dello Stura. Il film venne presentato, ancor prima di essere munito del visto di censura, a un concorso cinematografico tenutosi nell'estate del 1925 nell'ambito della Fiera di Milano, riportando un vasto successo di pubblico. Presentato subito dopo alla censura, venne stigmatizzato dalla commissione esaminatrice per le scene licenziose e conseguentemente bocciato nella stesura originale: ottenne il visto solo a marzo del 1926, quando l'originale metraggio di 2.502 metri venne ridotto a 2.475.
Maciste all'inferno è opera di uno scrittore di un certo estro, Riccardo Artuffo, che usava l'azzeccato pseudonimo di Fantasio. E il film risulta essere una autentica 'diavoleria', un impasto di grottesco e di sentimentale, di comico e di mirabolante, ove si riescono a fondere esperienze ormai lontane come quelle di Méliès e coeve come quelle di certi film tedeschi, addirittura prefigurando l'esplosione del fumetto dei primi anni Trenta, in un godibilissimo pastiche che mescola allegramente gotico luciferino e sensualità mediterranea. In questa vicenda, la lotta del Male contro il Bene (con ovvia vittoria di quest'ultimo) si complica di elementi soprannaturali, la rievocazione del mondo infernale si richiama alla classica tradizione delle tavole del Doré, ma come ridisegnate da uno sbeffeggiante cartoonist.
Guido Brignone, regista di non eccezionale levatura, appare qui come in uno stato di grazia: per creare il regno delle tenebre si affida alla abilità di quel mago dei trucchi che è Segundo de Chomón, il quale riprende dalle scenografie del bravo Giulio Lombardozzi ? costruzioni monumentali, antri paurosi, fumiganti spelonche ? dei quadri di una bellezza davvero infernale, rosseggianti di fiamme e densi di ombre, popolati da torme di diavoli cornuti. In tutta questa stregonesca fumisteria, dove impera un Plutone che ricorda il Mangiafuoco di Pinocchio, ci sono anche un Barbariccia di sapore caligaresco, delle infoiate diavolesse, cui prestano le loro conturbanti nudità attrici come Elena Sangro e Lucia Zanussi, e i tanti saltellanti sudditi dell'impero degli inferi. Maciste appare però il più spaesato, un colosso impotente di fronte a questo caotico affresco che talvolta sembra animarsi da una incisione medievale. Per la prima volta lo vediamo in seria difficoltà.
Stavolta non è lui, ma il film ad avere la meglio. La divertita accoglienza del pubblico, cui va sommato un corale consenso della critica, fecero di Maciste all'inferno uno dei pochi film italiani della fine del muto coronati da un successo di cui si era ormai persa l'eco.
Per puro scrupolo filologico, va ricordato un film del 1962 dallo stesso titolo ? ma la storia è completamente diversa ? diretto da Riccardo Freda, il quale utilizzò le grotte di Castellana, opportunamente affumicate, per simulare gli antri infernali. Più interessante, e ormai quasi leggendaria, la passione di Federico Fellini per il film con Bartolomeo Pagano, il primo che ricordasse d'aver visto, bambino, su uno schermo cinematografico: e in una testimonianza affettuosa resa al critico Dario Zanelli, il cineasta riminese raccontava come "quelle immagini mi sono rimaste impresse nella memoria. Tante volte, scherzando, dico che tento sempre di rifare quel film, che tutti i film che faccio sono una ripetizione di Maciste all'inferno".
http://www.treccani.it/enciclopedia/maciste-all-inferno_(Enciclopedia_del_Cinema)/
---
Cuando hoy le mencioné a un profesor la película Maciste en el infierno, sin dejarme terminar afirmó: “La película más fascista que he visto nunca”. Bromeaba. Maciste…, cuyo carácter fascista es evidente, ofrece al espectador mucho más que eso, bueno y malo, y merece ser valorada con mayor amplitud y profundidad. Dirigida en 1925 por Guido Brignone (un director de relativa popularidad en Italia) se trata de una de las películas de decadencia de la saga ‘Maciste’.
Dicha saga arrancó 10 años antes como consecuencia del éxito de Cabiria (Giovanni Pastrone, 1914), imperecedera obra maestra del cine mundial y el mayor éxito del cine mudo italiano, a modo de ‘spin-off’. En el filme aparecía un esclavo negro caracterizado por su fortaleza, virilidad y nobleza, interpretado por Bartolomeo Pagano, que se ganó el cariño del público internacional. Al año siguiente, con Maciste (1915), arrancó una serie de películas en las que Pagano interpretaba de nuevo a un hombre fuerte, viril y noble, pero esta vez de raza blanca, al que se fue cambiando de épocas, trajes y aventuras en sus siguientes secuelas (Maciste alpino, Maciste policía, Maciste médium, Maciste atleta, …).
El personaje gustaba, daba abundantísimos beneficios en taquilla y le surgían imitadores (en su propio país de origen, Francia, México, Estados Unidos… Douglas Fairbanks sería conocido en Italia como ‘el Maciste americano’). Su popularidad era inmensa, y el sueldo del actor que lo encarnaba (originalmente un descargador del muelle de Génova), uno de los mayores de la industria italiana. Ésta entró en crisis económica y creativa con la llegada de la Primera Guerra Mundial, y a partir de 1917, no quedaría apenas nada del esplendor que había vivido pocos años antes. Las grandes productoras, ahora raquíticas y endebles, se asociaban para sobrevivir, y el único producto que seguía siendo rentable internacionalmente era Maciste (que ya había rodado algunas aventuras en Alemania y Estados Unidos).
Como representante máximo de la ‘italianidad’ en el mundo, el personaje y sus andanzas fueron derivando en cierto modo en propaganda fascista, exaltando el vigor físico, la fuerza, la importancia de aspectos tradicionales y el uso de la violencia (táctica habitual de Maciste para resolver cualquier asunto). Muchos ven reflejado a Mussolini en Maciste emperador (1924). Con Maciste en el infierno, la saga se estabiliza a nivel de popularidad y calidad artística tras un periodo de evidente decadencia.
Maciste en el infierno, tal y como se conserva ahora, es una versión de 65 minutos (media hora por debajo del metraje original estimado). Hasta hace no más de 20 años, solo se conservaba una copia de la película. La trama es la siguiente. En el infierno hay un sistema político raro, en el que Satán controla pero no interviene. El jefe de todo aquello es el rey Plutón, que manda a su siervo Barbariccia a captar almas a la Tierra. Con un diálogo brillante, éste trata de tentar a Maciste.
Barbariccia: Esto (acaba de marchitar una rosa con sus poderes) demuestra mi ilimitado poder.
Maciste: Por Dios, ¿es usted el demonio?
Barbariccia: ¿Y si lo fuera?
Maciste (enfadado): ¡Le pediría que regresase al infierno!
Tras un episodio de carácter familiar en el que Maciste amenaza al ex-novio de su prima Graziella con pegarle una paliza si no vuelve con ella, el protagonista acaba descendiendo al infierno, víctima de una trampa. Allí tendrá que evitar ser besado por ninguna de las diablas que se pasean delante de él ligeritas de ropa, pues en caso de que suceda se convertirá en un demonio como los que le rodean. Como Maciste es un macho, se liga a una madre y su hija, y acaba convertido en diablo, liderando una espontánea guerra civil infernal y repartiendo palos a diestro y siniestro. No desvelo el final.
La película desafió en sus días los límites de la censura italiana en el terreno erótico. Las diablas, madre e hija, apenas llevan cubiertos sus pechos, enseñan mucha carne y encima van de calentorras, tentando al íntegro y viril Maciste. Resulta extraña la ambigüedad moral de la narración, tanto en el punto de vista como en el contenido. Confunde al espectador la variedad social del infierno, donde parece haber diablos buenos y diablos malos, y valores como el amor o la generosidad se llegan a dar (no todo es problema del guión, claro, sino también del que se inventó el infierno). Desconciertan rótulos explicativos como: “En el infierno, ¡las mujeres también son infieles!”, así como también choca el raro sistema político que allí impera, aunque no hay que buscar demasiadas explicaciones a una película con tan poca profundidad como esta.
Es interesante el papel que juega la mujer en la cinta: solo sirve como madre y esposa abnegada, dependiente del hombre; cualquier otro rol femenino no es viable, salvo el de la furcia infernal. A destacar también la manera en la que se exalta la fuerza descomunal de Maciste, capaz de enfrentarse con cientos de demonios a la vez. Uno de los mejores ejemplos del uso de la violencia explicita en el filme es el momento en el que Maciste arranca la cabeza a un demonio de un manotazo y ésta se queda clavada en un tridente que lleva otro diablo. A continuación, entroncando con el carácter fantástico de la cinta, la cabeza se recompone y es lanzada a su dueño original, que se la coloca y queda como nuevo.
Llegamos así a Segundo de Chomón, infravalorada figura de nuestro cine, verdadero pionero de la técnica y la narración de la historia del medio. Él es el responsable de los efectos especiales (pirotecnia, trucajes, fotografía, animación por stop motion con maquetas, figuras o barro modelado…) que hacen potencialmente creíble el infierno que Brignone como director nos dibuja. La destreza de Chomón en este campo es evidente: era el mayor y mejor especialista en trucajes del cine de la época en Europa. Los fuegos, explosiones, desapariciones de demonios, dragones que echan fuego por la boca, cabezas arrancadas y deformadas que recuperan sus rasgos originales, diablos que vuelan... responden a su trabajo artesanal.
Maciste en el infierno es la última película de Chomón en Italia, donde llevaba trabajando desde 1912. Debido a la crisis del cine italiano, el cineasta hasta entonces iba y venía de Francia, intentando desarrollar una adelantada cámara de grabación en color, cuya evolución quedaría estancada. Sin embargo, se establecería definitivamente en el país vecino cuando al año siguiente Abel Gance le convoque para el rodaje de su mítica superproducción Napoleón (1927).
Considerada por el especialista Vittorio Martinelli una especie de suma de Méliès y Fritz Lang, de Doré y Flash Gordon, Maciste en el infierno obtuvo unos buenos resultados comerciales, que en verdad es lo que simplemente buscaba la película. Viéndola, uno se siente interesado e incómodo a la vez: interesado por las cuestiones técnicas y visuales (los logros de Chomón son numerosos), así como por ciertas cuestiones ideológicas; sin embargo, esto tiene una cara negativa, y es la fuerte estereotipación que tienen los personajes, lo maniqueo del guión y la práctica ausencia de desarrollo narrativo: la acción avanza a episodios. En cualquier caso, su visionado resulta bastante cachondo: imagino que los espectadores de dentro de 86 años pensarán lo mismo y reaccionarán de la misma manera cuando vean nuestro cine comercial de hoy día.
A modo de conclusión, me gustaría señalar que, por muy fascista o estúpida que pudiera parecer Maciste en el infierno, y más allá de sus logros técnicos y visuales, la historia del cine está en deuda con ella: se trata una de las primeras películas, si no la primera, que vio Federico Fellini siendo un niño y precisamente la que despertó en él la vocación de querer ser director de cine. En la revista Sight & Sound, Fellini la citaría como una de sus 10 películas favoritas en 1992.
Santi Lomas
http://lasoledaddeltipodelfondo.blogspot.com.ar/2011/02/maciste-en-el-infierno-1925-de-guido.html

2 comentarios:

  1. No conocía este blog, y soy un entusiasta del cine italiano (he escrito libros sobre el peplum y el eurowestern). ¡Enhorabuena y adelante! Quería saber si la copia que has puesto de este Maciste es el montaje abreviado americano que circula por la red o la edición restaurada. No me cuadra lo de los letreros en inglés con una duración de 91 minutos. Saludos.

    ResponderEliminar
    Respuestas
    1. RdE
      Es el montaje abreviado que circula en la red y la duración real (del aquí publicado) es de 65 min.
      Gracias por colaborar. Hay detalles que se escapan.
      Un abrazo.

      Eliminar