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lunes, 26 de noviembre de 2012

L’uomo di vetro – Stefano Incerti (2007)


TITULO ORIGINAL L’uomo di vetro
AÑO 2007
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DIRECCION Stefano Incerti
GUION Heidrun Schleef, Salvatore Parlagreco, Stefano Incerti
REPARTO David Coco, Anna Bonaiuto, Tony Sperandeo, Elaine Bonsangue, Ilenia Maccarrone, Ninni Bruschetta, Francesco Scianna, Tony Palazzo
FOTOGRAFIA Pasquale Mari
MONTAJE Cecilia Zanuso
MUSICA Andrea Guerra
PRODUCCION Red Film, Rai Cinema
GENERO Drama

SINOPSIS Ispirato alla storia di Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia che pagò questa scelta con il carcere, il manicomio giudiziario e, infine, con la sua stessa vita.


La storia che Incerti rievoca si svolge tra '72 e '84. È quella di Leonardo Vitale, primo pentito di mafia. Anche se nel Dna napoletano del regista c'è la lezione del cinema d'inchiesta e meridionalista di Rosi, L'uomo di vetro - dal libro di Salvatore Parlagreco (Bompiani) - non è un film "giornalistico". Piuttosto è interessato a scavare nella complessità di un'anima divisa in due. Il trentenne palermitano Leonardo appartiene per famiglia a un mondo contiguo e colluso. Alle regole "dell'onore" è stato iniziato da adolescente compiendo due esecuzioni.
A metà strada tra il suo debole tentativo di sottrarsi in nome di una vita normale e la diffidenza mafiosa verso la sua "mancanza di coraggio" c'è la radice delle sue disgrazie. Incastrato nelle indagini per un sequestro e torchiato dalla polizia fa dei nomi, mettendosi nella posizione pericolosa del "morto che cammina", ma non gli viene risparmiata la galera. Che gli ispira una crisi di coscienza e una valanga di informazioni preziose alla giustizia. Turbato ma non pazzo, finirà in manicomio: l'unica possibilità di conservarsi vivo, favorita dai parenti. Se il testimone è giudicato pazzo i mafiosi denunciati possono tornare in libertà.
Paolo D'Agostini
http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/spettacoli_e_cultura/cinema/recensioni/uomo-di-vetro/uomo-di-vetro/uomo-di-vetro.html
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Il mercato cinematografico funziona anche così. Cioè che a giugno escono i film che i distributori comprano per le “nicchie”, quei film che non interessano al grande pubblico, e in cartellone possono stare soltanto negli spazi residuali d’inizio estate. Se questo è l’allungamento della stagione cinematografica c’è, per una volta, da esserne felici. Dopo Il matrimonio di Tuya (recensito la scorsa settimana), nelle sale arriva un altro regalo inaspettato, L’uomo di vetro di Stefano Incerti. Napoletano, classe 1965, Incerti ha iniziato come aiuto regista per gli autori della “nuova Napoli” degli anni ’80: Martone, De Caro, Corsicato. Esordisce a metà anni ’90 con il suo primo lungo, Il verificatore, che gli porta un David di Donatello come miglior opera prima. Poi firma un episodio del film collettivo e partenopeo I vesuviani (con Corsicato, Martone, Capuano e la De Lillo), realizza un altro lungo e approda alla consacrazione mainstream “all’italiana”, cioè a un film con la Sandrelli (La vita come viene). Insomma, Incerti pare perdersi nei meandri del cinema di bandiera… fino a questo film, dal soggetto esplosivo, stupefacente.
L’uomo di vetro (tratto dall’omonimo romanzo di Salvatore Palagreco) racconta la storia vera di Leonardo Vitale (1941-1984), primo mafioso ad aver collaborato con la giustizia, pentendosi nel 1973. Arrestato per errore nel ’72, Vitale al rilascio cade in un esaurimento nervoso pervaso di connotazioni mistiche: è l’espressione di una crisi profonda, che porta Leonardo alla volontà di pentimento. Le possibili conseguenze inducono suo zio, Titta Vitale (uomo d’onore e “testa” di uno dei clan palermitani), a internare Leonardo in un ospedale psichiatrico. Nel ’73, però, Leonardo riesce a costituirsi, sfuggendo al controllo dello zio. Confessa subito alla polizia gli omicidi commessi, ma soprattutto inizia a raccontare dell’esistenza di una cosa chiamata “Cupola” e del ruolo preminente di quattro persone al suo interno: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco e il sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Vitale confessa com’è strutturata la mafia, i rapporti tra questa e politica locale e nazionale, persino i particolari più “caratteristici”, come la descrizione del rito di giuramento degli affiliati. Leonardo Vitale fu creduto pazzo e internato in un manicomio per 10 anni. Uscito dal manicomio nel 1984, Vitale viene ucciso dalla mafia. Non tanto per le confessioni fatte, che non avevano portato all’arresto di nessuno, ma perché negli ani ’80 altri pentiti (Buscetta e Tituccio Contorno) stavano parlando, e in un clima civile decisamente mutato. L’uccisione di Vitale fu un monito per loro, e non è un caso se Falcone dedica all’importanza di Vitale alcune riflessioni, in cui alla fine afferma: è augurabile che, almeno dopo morto, Vitale trovi il credito che meritava e che merita. Anche in questo senso il film di Incerti è una sfida vinta. Ma non lo è solo in questo senso, nell’accezione del racconto impegnato, che comunque in questo caso è davvero un pugno nello stomaco. Il regista fa bene a concentrarsi sul personaggio, intessendo un ragionamento sulla mafia quanto sulla follia (che può essere raccontata come il disagio dell’isolamento, la diversità assoluta dal contesto) che non ha nulla dell’ovvia narrazione su Cosa Nostra, cui commissari Cattani, tv e cattivo cinema ci hanno abituato. Incerti cerca, in primo luogo, un modo di raccontare che vada in profondità, che sappia guardare al di là del dato costringendo lo spettatore ad un progressivo soffocamento. Il film non è perfetto, tutt’altro. Ma fa piacere vedere un cinema di idee forti, che non ha paura di angosciare, che non deve per forza mitigare lo strazio assoluto del reale con finali falsi e cerchiobottisti. L’uomo di vetro fa star male ma inchioda lo spettatore a una riflessione complessa. E avvilente. Perché L’uomo di vetro è la storia di un fallimento. Il fallimento di un uomo e del suo tentativo, del fallimento di un paese e delle sue istituzioni. Un lavoro molto interessante. Un cinema che in Italia vorremmo vedere più spesso.
Elisa Battistini
http://nonhosonno.wordpress.com/2007/06/22/luomo-d-vetro-di-stefano-incerti/

UN HOMBRE ARREPENTIDO
Aunque Leonardo Vitale fue un mafioso insignificante dentro de la Cosa Nostra, apenas un miembro más de entre los miles que han pertenecido a la organización, su figura ha alcanzado una importante notoriedad debido al valor  histórico excepcional de su testimonio. Leonardo Vitale no fue sólo el primer miembro de la Mafia que se entregó voluntariamente a las fuerzas del orden para colaborar con la justicia; el suyo es también uno de los pocos casos en los que se observa un arrepentimiento sincero, una auténtica renuncia a la mentalidad mafiosa con el deseo explícito de alejarse de ella por completo, cosa del todo imposible para un iniciado en la mafia.
El término pentito, con el que suele designarse a todo mafioso que acaba rompiendo el código de la omertà para dar su testimonio en la lucha contra la Mafia, merece ser explicado para comprender a nuestro personaje. Como se sabe, los pentiti son los arrepentidos, los desertores de la mafia, personas que por uno u otro motivo deciden colaborar con la justicia. Pero por supuesto hay importante diferencias entre ellos. No todos los pentiti son iguales, y la diferencia radica en el motivo que los lleva a hablar. Por esta razón, muchos estudiosos del fenómeno de la criminalidad organizada han expresado sus dudas sobre la fiabilidad de sus testimonios. Obviamente, todos los pentiti son desertores convertidos en delatores, pero no a todos se les puede dar la categoría, superior si se quiere, de arrepentidos. Y entre los auténticos arrepentidos, los menos, Leonardo Vitale ocupa un lugar destacado por haber sido el primero.
Nació en 1941 y fue educado en los valores mafiosos que imperaban en su familia de sangre desde hacía varias generaciones. Fue iniciado en la mafia por su tío, que era el capo de la cosca de Altarello Di Baida y, según dejó dicho Vitale, el hombre más influyente de su vida tras la muerte de su padre, también mafioso. Su iniciación se llevó a efecto cuando Leonardo tenía 19 años y, como suele ser habitual, después de mancharse las manos con la muerte de un hombre. Para el ritual de iniciación se utilizó una espina de naranjo amargo, con el que le pincharon el dedo tal y como dicta la tradición.
A partir de su conversión en un hombre de honor, Leonardo Vitale fue entrando poco a poco en la estructura de la Cosa Nostra, llegando en 1970 a ocupar el puesto de capodecina en la familia de Altarello Di Baida; es decir, de jefe de un grupo de diez hombres, aunque el número en este caso puede variar. Hasta entonces, Vitale había participado en trabajos de poca monta, siempre alrededor del negocio de la extorsión: alguna quema de automóviles, el envío de cartas amenazadoras, la recaudación del pizzo en el territorio de la familia, etc. Sin embargo, una vez convertido en capodecina por haber matado a otro mafioso, su tío le fue haciendo partícipe de algunos secretos a los que no había podido tener acceso hasta entonces: la jerarquía de la organización, la existencia de la Cúpula, el relevante papel de Totò Riina como una de las cabezas máximas de la organización o las últimas operaciones de peso llevadas a cabo por la Mafia en Sicilia, como la desaparición del periodista  de L’Ora Mauro De Mauro, y que poco después formarían el grueso de su alegato, o en todo caso el centro de la información por él aportada, una información que permanecería en estado latente, en parte olvidada y en parte a la espera de nuevas evidencias que le dieran el crédito que merecían, y que no llegaron hasta 1984 cuando Tommaso Buscetta, un desertor de la Mafia mucho más influyente que Vitale, se decidió a colaborar con el juez Giovanni Falcone, no tanto por arrepentimiento como por venganza y despecho contra el clan de los corleonesi.
¿Por qué se decidió a hablar Leonardo Vitale? ¿A qué se debió su arrepentimiento? Según parece, su acto de contrición fue el fruto maduro de un drama interno que lo había acosado desde la infancia, y que acabó en una especie de crisis espiritual que le hizo comprender la maldad inherente en la forma de vida que había llevado hasta entonces. Se puede decir que fue su propósito de enmienda lo que lo indujo el 29 de marzo de 1973 a cruzar las puertas del cuartel local de la brigada móvil de Palermo para confesarse autor de dos asesinatos consumados, un intento de asesinato, un secuestro y un buen número de delitos menores. Una vez en poder de la justicia, la prensa no tardó en dar la noticia de su conversión, apodándolo significativamente como “el Valachi de las afueras de Palermo”, en una clara alusión a Joseph Valachi, un soldado de la mafia norteamericana que en 1963 había sido el primer mafioso que se había atrevido a denunciar a la Cosa Nostra estadounidense ante una comisión senatorial.
No obstante, existen importantes diferencias entre los casos de Valachi y Vitale. Cuando el primero se decidió a hablar, ya era un preso de la justicia que cumplía una larga condena por asesinato, y que además había sido condenado a la vez por la Cosa Nostra al creérsele un traidor. Por el contrario, Vitale ostentaba el cargo de capodecina y gozaba de la confianza de su capo, que además era su propio tío, y todo parecía indicar que tenía posibilidades de ascender rápidamente en la estructura de la organización.
Ahora bien, cuando los agentes de la brigada móvil lo interrogaron se encontraron con un tipo mentalmente desequilibrado, que se expresaba oralmente con enormes dificultades, y cuyo discurso estaba plagado de incisos y correcciones, en lo que constituía un patético esfuerzo por dar forma a su pensamiento. Leonardo Vitale vivía angustiado por el temor de creerse un pederasta y, según parece, agobiado ante la idea de parecer menos hombre por ciertas inclinaciones homosexuales que en el mundo de la mafia están totalmente proscritas. Tres semanas más tarde, recluido ya en la prisión de Ucciardone, un juez de instrucción le pidió a un equipo de psiquiatras forenses que valoraran la personalidad del pentito, con el fin de considerar si su testimonio podría ser creíble en un juicio.
Los resultados de este examen psiquiátrico despejaron muchas dudas. Leonardo Vitale fue declarado “semidébil mental”; efectivamente, su inteligencia era límite y su estado de ánimo rozaba la depresión y la tendencia al desequilibrio, lo que hacían de él un tipo impredecible en sus manifestaciones. Además, vivía bajo los efectos devastadores del temor y los remordimientos por una sexualidad no aceptada, castrada por completo y nunca satisfecha. Pero todas estas características personales no invalidaban la información que había aportado. Los psiquiatras decidieron que su enfermedad en nada afectaba a su memoria y, por tanto, su testimonio podía ser considerado valido. Como consecuencia de sus revelaciones, veintiocho personas fueron llevadas a juicio en 1977, de las cuales sólo dos fueron condenadas: el propio Vitale y su tío.
        Declarado culpable de asesinato, Leonardo Vitale fue condenado a veinticinco años de reclusión, pero debido a sus peculiaridades mentales pasó la mayor parte de su condena en instituciones psiquiátricas, hasta ser puesto en libertad, finalmente, en junio de 1984. Seis meses más tarde, el 2 de diciembre de ese mismo año, y cuando salía de misa en compañía de su madre y de su hermana, un desconocido acabó con su vida pegándole dos tiros en la cabeza.
(*)La historia de Leonardo Vitale fue llevada al cine en el año 2006. La película, dirigida por Stefano Incerti, se titula L’uomo di vetro, y está basada en el libro homónimo de Salvador Parlagreco.
http://www.agustincelis.com/LEONARDO%20VITALE.html
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Critica
"Anche se nel Dna del regista c'è la lezione del cinema d'inchiesta e meridionalista di Rosi, 'L'uomo di vetro' non è un film 'giornalistico'. Piuttosto è interessato a scavare nella complessità di un'anima divisa in due (...) Incerti ha trovato la chiave per raccontare 'la lotta di un non eroe, in parte vittima e in parte colpevole'. Fuori dai cliché." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 15 giugno 2007)

"Senza sposare la causa oggi persa e consunta dall'uso del cine poliziesco o della fiction 'Piovra', Stefano Incerti si ispira a un libro per mettere in scena la storia umana del primo pentito di mafia, avendo nel Dna i film di Petri e Giordana. Senza l'enfasi positivista tv, il film entra sottopelle in una esemplare vicenda nevrotica degna del dr. Sacks, sulle spalle di Leonardo Vitale, primo collaboratore di giustizia che nel '72 fece saltare i tavoli di Cosa Nostra ma pure i suoi nervi: restò 11 anni in manicomio criminale. Tutta realtà romanzesca ma vissuta nel trionfo della mitologia, del folklore, del falso onore di padrini e padroni. David Coco è un attore sensibile e bravo, eccede con misura ed esprime con una sua pìetas la fragilità mentale mina, per volere di zio, una vita violenta. Con lui un cast di ottimo livello tra cui due volti necessari come Sperandeo e Bruschetta e la brava Anna Bonaiuto." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 15 giugno 2007)

"L'idea più bella de 'L'uomo di vetro', dal libro di Salvatore Parlagreco sul primo e misconosciuto pentito di mafia (Bompiani), sta tutta nel vecchio slogan della 'banalità del male'. Leonardo (David Coco) ha un'aria da bravo ragazzo, una fidanzatina adorante, una madre (Anna Bonaiuto) che partecipa alla messinscena quotidiana della normalità. Può essere mafioso uno così? Sulle prime non ci crede nemmeno la polizia. Perché non ci creda nessuno, la mafia, pirandellianamente, lo costringe a fare la parte del pazzo. Finendo per farlo quasi impazzire davvero. E qui il film potrebbe avere un'impennata se Incerti e i suoi interpreti non si contentassero di impaginare un raccontino pulito e al fondo convenzionale, ottimo per la tv. Non sono le storie che mancano, sono le ambizioni." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 21 giugno 2007)

"Chi ha apprezzato 'I cento passi' di Giordana non potrà non essere colpito da 'L'uomo di vetro,' il film del bravo Stefano Incerti, tratto dal libro omonimo di Salvatore Parlagreco, dedicato a Leonardo Vitale, primo pentito di mafia. Di grande realismo e di profondo impatto emotivo, la pellicola, disegnando un verosimile affresco del mondo di "cosa nostra", narra la storia di una lucida follia: quella di un "uomo d'onore" che decide di passare dall'altra parte dopo una lacerante crisi di coscienza. (...) Il suo precario equilibrio psichico, reso più fragile dal "facile" ricorso all'elettroshock, fa il gioco della mafia, che lo vuole pazzo: le dichiarazioni di un folle non hanno peso in tribunale. E così accade. Alla fine è quasi il solo a pagare. Rilasciato dopo 11 anni di manicomio criminale, viene ucciso nel 1984. (...) Quello di Incerti è un film a tratti duro ma mai sopra le righe, che non cade nei classici stereotipi mafiosi. Né fa di Vitale - un misurato David Coco - un eroe. Piuttosto vuole raccontare la battaglia interiore di un uomo, al contempo vittima e colpevole, che diventa una lotta, più o meno consapevole, per affermare la libertà di coscienza anche a costo di andare contro le proprie radici e gli affetti. Non siamo ancora al pentitismo strumentale, di mestiere. E alla fine l'impressione è che il ravvedimento di Vitale sia arrivato in anticipo sui tempi, troppo presto per uno Stato non ancora pronto e colpevolmente indifferente: non capì o non volle capire che la follia in parte era l'autodifesa di un uomo lasciato solo con le sue paure." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 23 giugno 2007)

"Senza sposare la causa oggi persa e consunta dall'uso del cine poliziesco o della fiction 'Piovra', Stefano Incerti si ispira a un libro per mettere in scena la storia umana del primo pentito di mafia, avendo nel Dna i film di Petri e Giordana. Senza l'enfasi positivista tv, il film entra sottopelle in una esemplare vicenda nevrotica degna del dr. Sacks, sulle spalle di Leonardo Vitale, primo collaboratore di giustizia che nel ' 72 fece saltare i tavoli di Cosa Nostra ma pure i suoi nervi: restò 11 anni in manicomio criminale. Tutta realtà romanzesca ma vissuta nel trionfo della mitologia, del folklore, del falso onore di padrini e padroni. David Coco è un attore sensibile e bravo, eccede con misura ed esprime con una sua pìetas la fragilità mentale mina, per volere di zio, una vita violenta. Con lui un cast di ottimo livello tra cui due volti necessari come Sperandeo e Bruschetta e la brava Anna Bonaiuto." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 6 luglio 2007)
http://www.cinematografo.it/pls/cinematografo/consultazione.redirect?sch=47794

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